Le lontanissime origini dell’olio

La coltivazione dell’albero dell’olivo era già nota ai Fenici che utilizzavano il suo frutto, l’olio, come moneta di scambio, come medicamento, per il riscaldamento e per l’illuminazione. Il suo impiego, col tempo, divenne persino, mezzo di differenziazione sociale.

Romani e Greci ne conoscevano ogni peculiarità. I Romani, in particolare, ne stabilirono le regole di conservazione e costruirono gli strumenti adatti per la spremitura. In Armenia sicuramente la pianta era comune se pensiamo che la colomba dell’Arca porta a Noè un ramoscello d’olivo proveniente, secondo le Scritture, dal monte Ararat. Anche lo Schlieman testimonia di reperimenti di noccioli d’oliva nei suoi scavi a Micene e Ulisse descrive il suo letto nuziale come scavato in un enorme tronco d’olivo. Nell’antichità la pianta era sacra ad Atena e l’olio veniva regalato agli atleti vincitori di gare in anfore dette ‘panatenaiche’.

In Calabria la zona più florida era quella di Sibari, nel Lazio erano la Sabina, il Piceno e Venafro. L’olio di Venafro, in particolare, era il preferito dai Romani che lo utilizzavano per condire le loro insalate.

C’è voluto, comunque, un periodo di tempo molto lungo per passare dall’olivastro (non commestibile) all’olivo domestico.

Una mia curiosità: dall’etrusco deriva la parola ‘amurca’ che nella forma greca è ‘amorghe’ e nel dialetto antico del mio paese ‘murghi’. Per tutti indica il liquido amaro di scarto che si utilizzava come concime, nella concia delle pelli e nell’essiccazione del legno.

Io in raccolta.

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ETNA & VINO (parte 1)

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